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Intervista esclusiva ad Alessandro Errico

Intervista esclusiva ad Alessandro Errico

INTERVISTA – Pronunci il nome di Alessandro Errico e non sempre il riconoscimento risulta immediato. Poi dici: “dai è quello che cantò a Sanremo Il grido del silenzio”. Ed ecco che, come per magia, chiunque si ricorda di lui.
C’è un perché ovviamente. Alessandro Errico, dopo i suoi grandi successi, è sparito dalla circolazione.
E si parla di diversi anni fa infatti, quando uscì il suo cd di esordio “Il Mondo Dentro Me”, era il ’96. Con la vendita di 100.000 copie conquistò il primo posto a “Sanremo Top”. Roba da far invidia a qualsiasi professionista del settore.

Ma Alessandro Errico, non è solo un musicista, è soprattutto un poeta. E per capire la sua poesia forse basta leggere le parole di questa intervista ma soprattutto bisognerebbe saper leggere tra le righe nelle sue canzoni. La scelta di una parola è soggettiva ed ogni volta è una scelta accurata, non importa che sia di difficile comprensione per gli altri. Chi deve capire capisce. Alessandro è uno che va oltre le parole. Uno che preferisce l’implicito senso di un’azione rispetto alla parola d’effetto. Perché la parola d’effetto, a volte anche più facile da dire, non racchiude quasi mai il senso più profondo.

Sei sparito della scena musicale in un momento d’oro della tua carriera. Questo tuo allontanamento a cosa è dovuto? Motivazione personale o scelta professionale?
Credo sia impossibile dividerle. Girando un po’ la domanda, diciamo che è stata una scelta personale che implicava motivazioni professionali.

Le tue canzoni hanno, tra le righe, qualcosa di spirituale. Come ti vengono certe ispirazioni?
In realtà non ho mai capito veramente cosa sia “spirituale”, presumo abbia a che fare con lo spirito ma anch’esso mi sfugge. C’è una dimensione letteraria in questo concetto che può anche piacermi ma solo finché resta, appunto, letteraria. Quando si entra nella vita (con la vita stessa o con una canzone) c’è poco spirito e molta carne. La gioia ad esempio, la felicità, sono condizioni rare che quando si realizzano coinvolgono ogni angolo del corpo, ogni pelo oserei dire. Il dolore stesso, che nasca da una perdita importante o da difficoltà quotidiane è qualcosa di molto materiale. Raccontarlo per me significa esorcizzarlo e ovviamente il “diavolo”, quando s’incarna, pare sia molto tangibile e materiale nelle sue manifestazioni: se lo vuoi cacciare devi combatterlo con le tue stesse mani. Non puoi affidarti allo spirito, né alla speranza che esso, di grazia, vada via da sé. Ecco, in questo senso quando scrivo non mi metto mai delle ali sulla schiena, bensì del piombo, pesantissimo piombo.

L’amore è sempre presente nelle tue canzoni. Che importanza ha nella tua vita?
L’amore è empatia prima di tutto. Non so se c’entri qualcosa con la tua domanda ma nel privato trovo sia molto più rivoluzionario dire ad una persona “ti voglio bene” che “ti amo”. Il ti amo è una semplice, magari straordinaria constatazione. Io amo te, per quello che sei. Ti voglio bene invece implica una promessa. Io farò tutto ciò che posso per te, per il tuo bene. Che prescinde da me. Ecco, tra dire e fare io preferisco sempre il fare.

Di tutte le tue canzoni ce n’è una che ti rispecchia di più?
Sì, è nata ieri. E’ stato più che un parto, sapevo che avrei dovuto scriverla da tempo perché musicalmente è (credo) quanto di più tragicamente bello io abbia mai scritto. Il fatto è che le parole erano troppo pesanti da far affiorare e per tanto, troppo tempo ogni volta che tentavo di prendere carta e penna mi uscivano solo cose che riempivano ma non completavano. C’era una melodia, una traccia fortissima che avevo riempito in finto inglese (come si usa abitualmente) e che aspettava solo di essere “tradotta”. Nulla però! Sapevo anche cosa avrei dovuto dire ma per 12 anni ho fallito miseramente. Poi ieri, senza nessuna ragione apparente, mi sono svegliato, ho preso carta e penna e l’ho finita di scrivere in un’ora. Una sorta di miracolo davvero… ecco, oggi 25 novembre 2010, alle ore 23 «L’aquilone (oltre le nuvole)» (così si chiama) è la canzone che mi rispecchia di più.

Che importanza ha avuto per te e per la tua carriera, la partecipazione al Festival di San Remo?
E’ stato determinante ma, credo, non tanto per il festival in sè (dove tra l’altro arrivai penultimo), quanto per aver vinto, qualche mese dopo il festival stesso, quello che allora si chiamava Sanremo Top (dove si certificava chi avesse venduto più dischi). Ed io lì, con motissimissima ironia, sbaragliai la “concorrenza”!

Tutti conoscono “Il grido del silenzio” e “Rose e fiori”, ancora sei identificato con questi successi..
Bene, vuol dire che dopo 12 anni qualche traccia l’ho lasciata!

Dopo 12 anni di silenzio, appunto, sta per arrivare una sorpresa per i tuoi fans.
Beh… magari non solo una.

Quando uscirà il tuo nuovo album? Il titolo è ancora segreto?
Sui tempi stiamo trattando. Sul titolo: per ora utilizziamo ancora quello del work-in-progress: Volume Uno. Il fatto è che mi ci sono legato a questo titolo… Tra l’altro lascia pensare a un “due”, e un “tre”… E’ un titolo che guarda avanti e anche per questo mi piace.

Cosa ci dobbiamo aspettare da questo lavoro?
Musica e parole nuove. Canzoni, ricerca, complessità. Leggerezza, politica, empatia, amore. Sai che il primo nome di questo progetto a cui avevo pensato era “Life”? Era un nome apparentemente troppo semplice e scontato ma cosa c’è di più complesso della vita stessa? Se provi a fermarne un fotogramma (e un disco forse è esattamente questo) te ne accorgi subito. Ne percepisci gli strati, li puoi quasi vedere. E se decidi di parlarne… non puoi che scavare.

Sarà un nuovo Alessandro Errico o lo stile sarà riconoscibile?
Riconoscibile e nuovo. Dipende da chi ascolta, io non rimuovo mai nulla di me, accumulo.

Quali sono i tuoi nuovi obiettivi?
Far uscire questo disco senz’altro. E poi… sparisco di nuovo! (scherzo 🙂 )

Hai intenzioni di fare un tour per promuovere questo lavoro? Hai già programmato qualcosa?
Ovviamente sì. L’unica cosa che mi aspetto è questa. Un numero esagerato di concerti.

Cosa pensi del programma “Amici” di Maria De Filippi che ha già lanciato tanti artisti importanti nel panorama musicale.. visto che anche tu ne hai fatto parte?
Beh… io ho fatto parte di un programma che con l’attuale condivide solo il nome. Non lo dico per prenderne le distanze ma solo per verità di cronaca. Quello a cui partecipai io dal 1992 al 1996 era un talk show. Questo un talent show. Sarebbe come sovrapporre… che ne so… “Otto e Mezzo” di Fellini con la trasmissione attuale omologa. La differenza tra Amici e Amici è quasi lapalissiana: noi non eravamo talenti ma “chiacchieratori” se così si può dire, magari dicevamo cazzate ma nessuno di noi era lì per manifestare un talento. Se avevi qualcosa da dire lo dicevi e basta, come in fondo facevi a casa o a scuola. E se proprio devo dirtelo, quel tipo di programma oggi manca, secondo me, anche a chi allora lo criticava. Perché era un format televisivo estremamente “civile”. E forse proprio per questo oggi sarebbe improponibile…

Pregi e difetti della carriera di un musicista? Che consigli daresti a un giovane che vuole “provare” la carriera di cantante?
Gli direi solo di studiare e non lasciarsi mai tentare dalle scorciatoie. E poi gli direi che se mi parla di carriera… forse è più consigliabile una banca. Che la musica non si scala, si attraversa. Ci si cammina dentro, al limite la si ospita.

Intervista a cura di Camilla Mencarelli

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